Eutanasia delle Aree Interne? Un Futuro da Riscrivere

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Eutanasia delle Aree Interne? Un Futuro da Riscrivere

Dopo il Covid sono stati ben 100.000 gli italiani che hanno deciso di spostarsi in comuni di montagna. Il Trentino ha messo a disposizione ingenti risorse per facilitare il ripopolamento di molti paesi e altre regioni, evidentemente non edotte delle intenzioni del Governo, stanno lavorando da tempo al problema.

Eppure le aree interne d’Italia sono di recente finite nell'occhio del ciclone per una frase alquanto infelice, riportata nel Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI): "accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile". A denunciare l’inadeguatezza di tale espressione, portandola all’attenzione del pubblico, è stato in prima battuta Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), che in una lettera indirizzata al Ministro per gli Affari europei, il PNRR e le Politiche di Coesione, Tommaso Foti, auspicava la cancellazione del paragrafo incriminato, invitando piuttosto a un impegno attivo del Governo a supporto di una fetta d’Italia in cui lo spopolamento non va certo favorito ma evitato.

Di fronte al fiorire delle accuse, il Ministro Foti ha ammesso la necessità di una revisione del testo. Paradossalmente, questa bufera ha avuto il risvolto positivo di accendere i riflettori sulle aree interne, la cui voce risulta affievolita da anni di marginalizzazione. Quante volte un errore si trasforma in stimolo al miglioramento? Ci auguriamo che per il Governo sia proprio questo il caso.

Un errore da correggere, subito!

Nelle ultime settimane le aree interne sono divenute fulcro di un intenso dibattito, sorto per una espressione alquanto infelice, riportata a pagina 45 del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI), elaborato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri come rimodulazione della Strategia Nazionale Aree Interne. L’espressione sotto accusa è la seguente: “accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”.

Il documento in questione è datato marzo 2025. E di quelle 7 parole, con una certa probabilità, un cittadino medio italiano non sarebbe venuto a conoscenza se non fossero state portate all’attenzione dei media, già nel mese di giugno, da Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani).

In un comunicato ufficiale, pubblicato sul sito Uncem (7/06/2025), viene infatti riportata la lettera inviata dal Presidente Nazionale Uncem, Marco Bussone, al Ministro Foti. All'interno si può leggere quanto segue: “Quel paragrafo del Piano varato dal Ministro Foti alla presenza anche di Uncem un mese fa, deve essere eliminato per il bene del Paese, per la sua coesione alla quale tutti e tutte lavoriamo”.

Castelluccio di Norcia, giugno 2021 ©T. Marras

Le parole di Bussone non fanno solo riferimento a un principio di coesione e fratellanza nazionale, ma all’obiettivo stesso del PSNAI e, più ampiamente, della SNAI. La Strategia Nazionale Aree interne nasce infatti allo scopo di garantire, nelle aree interne d’Italia, un miglioramento dei servizi essenziali, la promozione della crescita economica e sociale e la valorizzazione delle risorse locali per creare opportunità di sviluppo.

In tal contesto, il PSNAI si propone a sua volta come strumento atto a fornire “le linee guida per implementare interventi mirati che rispondano alle specificità di ciascun territorio e promuovano il benessere delle persone, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, partenariato e governance multilivello, tramite l’armonizzazione delle risorse e delle normative esistenti.”

In estrema sintesi, il PSNAI dovrebbe contenere le regole del gioco atte a frenare e migliorare lo stato di marginalizzazione che caratterizza, attualmente, oltre 4.000 Comuni italiani (circa il 60% del territorio nazionale), in cui risiede circa ¼ della popolazione, caratterizzati da significativa distanza dai centri di offerta dei servizi essenziali, quali istruzione, salute e mobilità, al contempo scrigno di risorse ambientali e culturali da preservare.

Anche senza eccellere in matematica, è chiaro che ci troviamo di fronte a numeri significativi. Una bella fetta di nazione che, a partire dal Secondo Dopoguerra, è in gran parte andata incontro a un progressivo fenomeno di spopolamento, con movimenti migratori verso i centri urbani. E che oggi si caratterizza per un aumento percentuale della popolazione anziana, emigrazione giovanile e declino dei servizi essenziali.

Compreso dunque il documento entro cui è riportata la frase della discordia, andiamo ad analizzarla nel dettaglio, per comprendere le basi del dibattito accesosi negli ultimi giorni.

A pagina 45 del PSNAI si legge quanto segue:

“Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile -  Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”.

Il pensiero inevitabile che accompagna la lettura del paragrafo, come evidenziato da voci del mondo politico e non, è dell’accompagnamento di un malato al fine vita. C’è qualcosa di più doloroso da accettare della fine di ogni speranza? Forse no. C’è stimolo più forte del sentirsi dire che non vi siano speranze, per ritrovare le forze? Forse no.

La stagione del risveglio

È in questa ottica che, il polverone sorto attorno a questo paragrafo dal titolo tanto infelice - che nei giorni scorsi il Ministro Foti ha infine dichiarato necessitante di una revisione (che dovrebbe essere effettuata da apposito gruppo di lavoro, prossimamente), possa essere in fondo letto in chiave positiva. “Unico modo per togliere di mezzo quella frase, è dimostrare che sulle aree interne questo Paese vuole puntare”, sintetizza Uncem.

Per una intera settimana, anche più, le aree marginali d’Italia sono divenute protagoniste di articoli giornalistici, dibattiti sui social e forse anche in qualche bar. Ci siamo accorti tutti assieme, senza forse averci mai pensato in maniera profonda, di quanto l’Italia, senza le sue aree interne, fondamentalmente potrebbe anche cambiare nome.

Bevagna ©M. Fazion

Le aree interne, la parte di nazione che sopravvive lontano dai servizi ma anche dalle negatività degli ambienti urbani, rappresentano per tanti se non tutti, la scenografia dei ricordi d’infanzia, la meta di fuga nei giorni di libertà dal lavoro, il luogo in cui si sogna di trascorrere la pensione, dove il cielo ancora appare blu e pieno di stelle, anche se magari non c’è la fibra. Sono passato, presente e futuro per l’Italia, e in tal senso, l’idea di un abbandono assistito decisamente non può essere concepita.

Nel Rapporto Montagne Italia 2025, un dossier corposo, di circa 800 pagine, che proprio in questi giorni Uncem sta presentando al pubblico lungo lo Stivale, si evidenzia che, nel complesso, le aree interne, con riferimento specifico ai comuni situati oltre i 600 m di quota, siano tutt’altro che votate all’abbandono. Post Covid, a seguito ovvero della pandemia che ha portato a riscoprire il bello della vita fuori dai confini cittadini e della vicinanza alla natura, sono stati ben 100.000 gli italiani che hanno deciso di spostarsi in comuni di montagna. Non si tratta di un fenomeno diffuso in maniera omogenea (circa il 65% dei comuni montani presenta tendenza positiva, concentrati al centro-nord), ma va colto come un segnale di cambiamento potenziale di rotta.

Uncem parla di una “stagione del risveglio”. Cresce, come scrivevamo in apertura, il numero di coloro che, a poterlo fare, si trasferirebbero anche domani, in un paese di montagna, percepite come più sicure, sane ed economiche. Il compito del Governo, di fronte a tale evidenza, dovrebbe essere di supportare, stimolare, coltivare tale voglia di cambiamento, investendo adeguatamente per assicurare un minimo di servizi, tali da poter rendere possibile vivere e lavorare dignitosamente, in tutte le aree interne.

L’identità del nostro Paese è in fondo da immaginare alla stregua di un puzzle. A vostro avviso, se di un puzzle costituito da 100 pezzi, vi ritrovaste a perderne 60, sareste ancora in grado di riconoscere l’oggetto dell’immagine che esso dovrebbe rappresentare?

©M. Fazion

Articolo a cura di Tatiana Marras