Ai nostri associati, ai colleghi, ai nostri clienti...

In questo messaggio di fine anno non parleremo del fatto che non abbiamo ancora una legge nazionale a riconoscere la nostra professione, né un codice Ateco a identificarla. Non parleremo neppure di decreti, di come seguirli, di come limitare il danno che subiamo, di come interpretare le disposizioni di legge. Non difenderemo, per una volta, le nostre posizioni dal negazionista di turno o da chi vagheggia interpretazioni ulteriormente restrittive rispetto a quelle decise dal Governo. Lo abbiamo fatto per un anno. Non occorre dirvi che siamo stati al vostro fianco. Lo avete sentito, e abbiamo apprezzato che molti di voi ci abbiano scritto, o abbiano preso la parola durante le assemblee solo per dircelo. Apro invece questo mio sesto ed ultimo messaggio di auguri da presidente (a dicembre prossimo non sarò nuovamente candidabile) con la celebre immagine della “tregua di Natale”. Nel rigido inverno del 1914, quando ancora si sperava in un conflitto breve e su scala locale, per qualche giorno, soldati nemici fraternizzarono, uscendo dalle trincee e incontrandosi; giocarono a palla nella terra di nessuno, si scambiarono cioccolato e sigarette, e si scattarono foto di gruppo. Quel coraggioso moto di disobbedienza fosse durato più a lungo, si fosse esteso, avesse messo radici, avrebbe potuto fermare l'inutile strage, e - pochi decenni più tardi - anche la guerra che seguì, ancor più spaventosa e “mondiale” della precedente. Il cammino dell'umanità procede tortuoso fra mille occasioni mancate, ma solo oggi sembra prossimo al suo definitivo epilogo, solo oggi non c'è più margine per fare altri errori. Vasti ecosistemi hanno le ore contate a causa del cambiamento climatico. I fenomeni migratori, causati dalle guerre e dell'assottigliamento delle risorse, hanno assunto scala mai vista. A causa del neoliberismo selvaggio che ha imperversato a livello globale negli ultimi decenni, assistiamo inoltre all'impoverimento progressivo di intere popolazioni prima autosufficienti e, nei paesi “ricchi”, all'impoverimento di nuovi strati sociali, prima benestanti. Oggi, questo Natale diverso, il Natale in mascherina, in cui molti di noi sono separati dai propri cari, in cui molti di noi i propri cari li hanno persi, in cui molti di noi guardano con incertezza al proprio futuro, deve farci riflettere sul modello di sviluppo che ha condotto a tutto questo. Le tempeste virali erano previste da almeno un ventennio e una corposa documentazione nel merito era stata a suo tempo consegnata a tutti i governi mondiali; che, tuttavia, in piena consonanza coi tempi nuovi, avrebbero preferito scatenare la peste bubbonica piuttosto che veder calare il PIL dello 0,1%. Scegliere il rischio dell'epidemia, bollando da “Cassandra” chi metteva in guardia dai pericoli del “salto di specie” è sembrato, dentro quel quadro culturale e politico, inevitabile. L'epidemia di SARS-CoV-2 non è altro che una delle prime manifestazioni del tempo che viene. Noi abbiamo conosciuto le guerre per il petrolio, i nostri figli e nipoti conosceranno quelle per l'acqua. Tutta colpa di qualcun altro? Lavoriamo nella seconda industria mondiale, il turismo. Un'industria - oso ricordare – che si regge sullo sconsiderato sviluppo del traffico aereo e sulla sperequazione economica tra Nord e Sud del mondo. Resa possibile, in parole più semplici, dall'inquinamento e dall'ingiustizia sociale. Forse, in questo Natale diverso, una riflessione si impone anche ad ognuno di noi e vorrei che andasse molto al di là dei cliché di turismo responsabile-ecologico-sostenibile-belloebuono di cui, non sempre a proposito, ammantiamo il nostro lavoro. Siamo stati, per qualche tempo, capaci di uscire dalle trincee e di interrompere la guerra che la nostra specie conduce da sempre contro la Natura. I delfini sono tornati a nuotare nei porti, i cervi a passeggiare sulle nostre strade, il silenzio a carezzare le nostre notti. Non mi sfugge che vi siamo stati costretti, ma abbiamo toccato con mano cosa significa ridurre la nostra impronta ecologica: abbiamo toccato con mano il fatto che siamo ormai, come civiltà, al punto di non ritorno e abbiamo compreso come già respirare liberamente aria pulita, confinati nelle nostre (bellissime) regioni, fosse uno straordinario privilegio. Un punto di vista del tutto nuovo. Ora sta a noi: decideremo se fecondare di idee nuove la terra di nessuno che stiamo – nostro malgrado – scoprendo e trasformare la tregua in pace duratura col pianeta, con la Natura, con i nostri fratelli non umani, donando alla vita cosciente sulla Terra la possibilità di un nuovo inizio. Oppure decideremo di tornare a guardare la Natura e il mondo da dietro al mirino di un fucile, per il poco tempo che, a quel punto, resterà alla presenza  sulla Terra della nostra specie. Posso solo augurare, a me stesso e a tutti voi, di trovare la forza e l'intelligenza per riuscire, come esseri umani e come Guide, ad affrontare i nuovi compiti che gli ultimi accadimenti ci hanno ormai irrevocabilmente indicato. Quest'anno non siamo chiamati ad accendere fuochi d'artificio o luminarie, ma a far brillare intorno a noi la luce della speranza. Un augurio di cuore a tutti! Il presidente nazionale Marco Fazion